il Gerba: Headline Post

domenica 7 ottobre 2007

LA FABBRICA DEL NON SENSO

Per gran parte del XX secolo ormai trascorso, uno dei problemi che più agitavano le coscienze di studiosi e intellettuali che si dedicavano a osservare la società, era costituito del timore delle omologazioni forzose, dell’assenza di indipendenza che poteva scaturire dall’affermazione del capitalismo e del tardocapitalismo, dall’estensione delle logiche dell’economia del consumo e dalla fine della politica in senso dibattimentale e dialettico. La sparizione dell’individuo nel consenso generale, privato dello spirito critico, è un tema che, a vario livello, dalla Scuola di Francoforte a una certa sociologia americana (quella attenta di autori come Riesman e Wright Mills) fino a Foucault, si è costantemente manifestato. Oggi, nel XXI secolo, questo tema non ha perso di attualità e, in effetti, la tendenza alla massificazione e il timore del pensiero libero è una costante del genere umano, ma accanto ad esso si affianca anche la questione del non senso. La società complessa rischia di essere non solo una fabbrica del consenso, ma anche una fabbrica del non senso. Numerosi studiosi hanno rilevato questo problema: il percorso di vita di ciascuno nella tarda modernità non è più lineare, non ha più certezze: il sociologo Bauman ha diagnosticato questa condizione con ridondante lucidità in numerosi testi. E un filosofo come Galimberti va denunciando, da anni, questo problema del non senso, che attanaglia molte vite, provando ad affrontarlo non con la psicologia ma con la filosofia appunto.
L’origine di questo non senso che asfissia, però, sta non tanto o non solo nelle incapacità delle istituzioni, nelle difficoltà della storia, nella crisi della politica, nella trasformazione della sfera lavorativa, negli effetti perversi della globalizzazione sui processi di formazione del Sé. Magari l’origine del non senso sta anche in una generale condizione di presunzione di molti abitanti di questa epoca attuale. Si afferma tanto facilmente che ciascuno deve realizzarsi, deve potersi esprimere, deve valorizzarsi e intere scuole terapeutiche fanno di questi concetti un must. Aspirazioni certamente legittime e frutto del progresso politico faticosamente portato avanti dalla modernità più classica, pura e nobile. Ma, forse, questa attività di autoespressione non dovrebbe manifestarsi ex abrupto, ma dovrebbe essere la conseguenza di un periodo di riflessione, di maturazione, di esercizio su sé stessi, di riempimento di sé stessi con conoscenza e sensibilità. Solo con tali elementi le relazioni con se stessi e con gli altri possono sfuggire al non senso e acquisire una unicità, una specificità, un che di davvero irripetibile e fiabesco. Altrimenti cosa può esprimere ciascuno? Cosa si può tirar fuori da un recipiente vuoto? L’aria mefitica del suo nulla? O dobbiamo credere che, dietro questa esagitata necessità espressiva, vi sia il fatto che, oggi, tutti gli uomini siano artisti? Che questi decenni contengano la più alta concentrazione di artisti mai verificatasi nella storia dell’umanità? Magari è così, ma, una volta, si diceva che, perché qualcuno possa definirsi artista, deve passare qualche decennio dalla sua morte. Può darsi, tuttavia, che, nella vicenda postmoderna, il canone di riferimento sia più modesto. E, allora, si aprano le porte alla fiera di questo espressionismo senza acuti e benvenuti tutti nel deserto del reale, frutto splendente della fabbrica del non senso. Così è se vi piace. Sperando esista qualcuno cui spiace che così sia.


Francesco Giacomantonio

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Il fatto è che si è perso ogni concetto di autorevolezza, di modello,di capacità di vedere le differenze di valore, ogni ispirazione pedagogica.
La colpa è un po' di tutti.
Del consumismo essenzialmente e anche in parte di una certa subcultura giovanile radicale d'ispirazione statunitense che magari ha anche dei meriti ma enfatizza troppo la libertà espressiva offerta dalla rete.
Forse c'è chi vuole il comunismo conservando i trastulli del consumismo.
Non conosco il pensiero di Toni Negri e quindi parlo con cautela ma mi sembra che parlasse di una futura società di "io desideranti".
Bisognerebbe invece imporre invece una misura al desiderio e imparare a riconoscere il senso nelle cose quotidiane( il lavoro, gli affetti, l'ambiente,ecc.)
Ci sono poi le correnti d'avanguardia francesi come il surrealismo che esaltavano l'espressione cruda dell'inconscio(anche se le loro migliori poesie - guarda caso - erano quelle meno surrealiste).
In realtà questa tendenza a dire a ogni costo "la propria" senza preliminare riflessione o elaborazione è stata stigmatizzata già negli anni 60 da Yuko Mishima, un intellettuale del quale non si possono condividere le nostalgie per un Giapppone feudale e guerriero ma che aveva visto giusto a riguardo...
Non a caso Il Giappone è la patria del karaoke!

Un saluto
Roberto

Anonimo ha detto...

Ciao, ho appena dato un'occhiata al tuo blog e non potevo non soffermarmi a vedere il video che sta in fondo alla pagina. Credo proprio che questo nodo in gola che mi si è formato difficilmente si scioglierà prima di andare a letto. Credo sia doveroso che certe cose passino all'infinito ovunque, specie su internet. Le sappiamo tutti, siamo consapevoli di cosa sia la guerra (forse lontanamente, ma quanto basta per essere decisi nel dire BASTA), o la fame nel mondo. Ma troppo spesso questa consapevolezza gioca brutti scherzi, e diventa una sorta di abitudine, di "dare per scontato". Ecco perché non si dovrebbe mai smettere di ricordare, di dare vita alla memoria storica.
Ti linko subito. Avanti così!!

Andros ha detto...

Un giorno forse passeremo dalla necessità di esprimerci alla necessità di agire, dalla smania di apparire alla smania di determinare.
Spero soltanto che se accadrà, la nostra coscienza sarà all'altezza di costruire un mondo migliore!!!
E' per questo che abbiamo bisogno di nuovi valori, di nuove persone, di nuovi obiettivi. Dobbiamo andare oltre il non senso e con cautela educarci ed educare al rispetto, alla collaborazione, alla critica costruttiva. Solo così potremo evitare di indicare il problema senza mai trovare la soluzione. Dopotutto è quello che accade oggi! Tutti dicono: la politica non funzione, l'economia va a rotoli, etc.. ma alla fine quanti si impegnano per realizzare un cambiamento?

Nella speranza che un giorno la guerra finisca